Abbiamo contemplato in questi giorni, in preparazione alla solennità dell’addolorata Maria Vergine, con questo titolo, iniziando questo nostro settenario, Maria come donna del dolore, donna dell’amore, donna di misericordia, donna della sequela, perché Maria segue il Signore in tutto, pone i suoi passi nei passi del figlio. E se ha educato il figlio a crescere in età, sapienza e grazia quando era fanciullo, adesso lei, da donna giovane, si pone alla sequela del figlio. Ed è quello che dobbiamo fare ciascuno di noi.
Gesù si trova in un secondo momento della sua vita pubblica: se ben ricordate, nelle domeniche passate, ha operato prodigi. Domenica scorsa addirittura, ha guarito un sordomuto: “Effatà, apriti!”. Quella parola aramaica che troviamo nel rito del battesimo alla fine, quando il sacerdote dice nel formulario: “Il Signore che fece udire i sordi, e parlare i muti, ti conceda al più presto di ascoltare la Sua parola e di poterla annunciare”; che, poi, è il compito di ognuno di noi: siamo figli di Dio e come tali dobbiamo comportarci.
Dopo che Gesù ha fatto tutta una sequenza di miracoli, di prodigi, di meraviglie del Signore, adesso, dopo che ha fatto vedere chi è Lui effettivamente, chiede ai suoi discepoli, ma lo chiede questa sera anche a noi, di diventare come lui, e pone due interrogativi: “La gente chi dice ch’io sia?”, ed incominciano a dire Giovanni il battista, uno dei profeti e così via… A Gesù non interessa quello che la gente dice di lui. A Gesù interessa quello che i suoi intimi dicono di lui. E la stessa domanda che ha posto ai suoi discepoli, a Pietro, a noi stasera la dice qui. E io, a nome di Gesù, la pongo prima ame, e poi a ciascuno di voi, perché l’omelia non deve essere una lectio dormientis, ma deve essere una lettura viva della parola di Dio; deve essere pane spezzato, che dobbiamo interiorizzare, che ci colpisce, che ci ammutolisce, che ci ferisce e questo vuol dire che fa effetto su di noi, che ci fa meditare.
Pongo la stessa domanda che Gesù ha posto ai suoi discepoli, a voi: voi, stasera in questa Chiesa di San Paolo, venerando la Madonna addolorata, contemplando il crocifisso, chi dite che sia Gesù? E’ il figlio di Dio, l’Emmanuele, Il Dio con noi, il Messia, il mandato da Dio, il Cristo, l’unto di Dio. Avremmo da dire tanto, vero? Ma attenzione: un conto è dire di Dio, parlare di Dio, sapere chi è Dio. D’altra parte Gesù chiede una cosa più importante: vivere Dio.
La seconda lettura è stata proclamata in maniera chiara e Giacomo ci dice che un conto è la fede: “Ti credo Signore, lo so che sei il mio Signore, che sei nato da Maria, che sei la seconda persona della Santissima Trinità, che sei l’Unigenito figlio di Dio” – possiamo sapere tutto su Dio, tutte le nostre preghiere e filastrocche – ma non vivere Dio. Non vi pare? Ditemi se sto sbagliando. Anche i grandi teologi si riempiono la bocca su Dio, speculano su Dio, facendoci sentire talvolta ignoranti e piccoli, e spero che in noi nasca la dotta ignoranza, che non è il sentirsi piccoli, schiacciati, ma è quella che porta a dire: “Aspetta, riconosco di non sapere, vado a sapere e studiare ancora di più; mi porto alla ricerca, allo studio, alla preghiera, all’approfondimento: Vivere Dio. Tant’è vero che quello che abbiamo detto noi questa sera, Gesù è figlio di Dio, è Messia, è Il Cristo ecc… lo ha detto anche Pietro: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivo!”. “Aspetta Pietro, tu stai dicendo una cosa giusta, è vero sono il figlio di Dio, ma vivi questo? Vivi davvero questa appartenenza a Dio? Incarni Cristo dentro di te come ha fatto Maria?”. Mi capite?
Guardate, continua il Vangelo, e Gesù continua a scrutare, ad andare nei meandri nascosti, nelle fenditure più nascoste dell’anima e delle persone. Faceva questo discorso apertamente e Pietro quasi quasi lo rimprovera: “Signore basta, non parlare più o la gente ti prenderà per pazzo. Ti abbiamo riconosciuto che sei il figlio di Dio, ma dovete viverlo, dovete incarnarlo voi il Cristo, dovete incarnare il Cristo dentro di voi per portarlo, non basta dire, perché anche il diavolo dice su Dio, ma lo odia. Ma come si dice Dio? Amandolo. “Non la fede soltanto” dice San Giacomo, “ma le opere”.
La conseguenza della fede sono le opere, se no cadremo nel fideismo: credo perché credo. Attenzione è nel fondamentalismo, tant’è vero che Papa Francesco ha detto in una delle sue ultime catechesi: “Mi preoccupa il rigidismo che c’è all’interno della Chiesa, che porta al fondamentalismo”; così si è fatto e così si deve continuare a fare. Ecclesia semper reformanda est, la Chiesa si riforma al passo dei tempi, questo significa non vivere Dio, dice il Papa; certo, perché Dio diventa un’apparenza, un paravento: ci riempiamo la bocca di Dio, ma non il cuore, come dice il salmo: “Con la bocca benedicono e con il cuore maledicono”, ma è un controsenso! Ecco perché Gesù ammonisce Pietro che vuole ammonire Gesù e gli dice: “Fermati Pietro! Vade retro satana! Perché tu non parli secondo la logica di Dio, ma secondo quella degli uomini. Bello è conformarsi con la mentalità dell’uomo, è facile, basta dire sempre sì. Se dici sempre sì, la gente ti applaude, ti mette sul piedistallo, ti ama, ma “se ci ni sbagli una!”. Gesù ha saputo dire sì, ma tante volte ha detto no. Vade retro satana, il tuo parlare, il tuo agire non viene da Dio, ma dall’uomo, ti sei conformato, mondanizzato. Ecco cosa vuole Gesù: estirpare le nostre radici dalla mondanità e portarle, ancorarle a Lui! Satàn, questa parola è colui che divide: satana separa, crea ostacoli, porta caos, confusione, non chiarezza. Guardate il mondo: che confusione c’è, non c’è più ne testa e ne coda, nè principio nè fine, “cu si susi la matina cumanna”[1]. Ognuno dice la sua, ci sono medici, psichiatri, psicologi, neurologi, epidemiologi, su questa pandemia di tutto si dice e si fa e “un si nni capisci chiù nenti!”[2]. Crollano le braccia a terra e cosa ci salva? La fede, con le opere! “Signore io credo che tu sei Gesù, sei il Cristo, ti amo, mi affido a te e affidandomi a te tutto cambia dentro di me, tutto”.
Ma Maria ce lo insegna. Ma come cambia? Contrastando sempre tutto e tutti? Imponendo sempre la propria idea e modo di pensare e agire? No, quello è diabolico. Ma accettando e accogliendo tutto nella preghiera, nel silenzio, nella carità, nell’amore. Maria è l’esempio. E allora quale deve essere la sequela per fare Cristo in noi, per farlo incarnare in noi, per dire come Paolo, per me vivere è Cristo? Lo dice Gesù alla fine di questa pericope evangelica: “Chi vuol venire dietro me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Rinnovare, prendere, seguire: la sequela che ti porta a decidere e ti porta a recidere, tagliare. “Ma no mi veni pisanti, mi veni dura” [3]Lo so, la parola di Dio è una spada, come quella che porta San Paolo, non perché ha ucciso con la spada, ma richiama la parola; la parola di Dio taglia carne e ossa, ci scomoda. Perché è bello pensare come Pietro, “satanica” e non come Dio.
Allora il Signore questa sera ci invita a guardare Maria, per seguire Gesù. Seguendo Maria, arriveremo certi a Gesù. Rigettiamo in noi le opere delle tenebre e rivestiamoci delle opere della luce. “Santa Madre, deh voi fate, che le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore”.
[1] Tradotto dal dialetto siciliano: “Chi si alza, comanda”
[2] Tradotto dal dialetto siciliano: “Non si capisce più nulla”
[3] Tradotto dal dialetto siciliano: “Ma no, mi viene pesante. Mi viene duro farlo.”