l Vangelo che abbiamo ascoltato or ora, è quello della XXIV domenica del tempo ordinario, che già abbiamo ascoltato ieri sera nella messa vespertina. E nello spezzare la parola non si è mai ripetitivi nei concetti, perché la parola di Dio è antica e sempre nuova e giova sempre ascoltarla, interiorizzarla, pregarla. E Gesù ci richiama a vivere questo, non soltanto con la bocca, nel pronunciare il nome di Dio – oggi anche nella liturgia si festeggia il Santissimo nome di Maria e quindi auguri a chi ne porta il nome- ma questo pronunciare Maria o Gesù non deve essere un mero, esterno pronunciamento labiale, ma deve essere un pronunciamento che si incarna nelle fenditure del nostro cuore, e che si fa esperienza di vita poi fuori di noi, attorno a noi, ma prima dentro di noi.
Dicevo, tra le diverse tematiche che abbiamo trattato, nel percorso del settenario, abbiamo visto Maria come donna dei dolori per come la stiamo contemplando, l’addolorata. Ma nel contemplare Maria vediamo che il suo dolore è spinto dall’amore. “Caritas Christi urget nos” dice l’apostolo Paolo; la carità ci spinge a vivere il dolore, ad essere misericordiosi, obbedienti alla volontà di Dio, alla sua sequela, a camminare con Lui. E proprio questa sera accogliamo il monito di Gesù: “Chi vuol venire dietro me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua”. Chi vuol venire dietro a me. E’ un verbo di stato in luogo, di movimento. Camminare non significa fermarsi. E noi come cristiani non possiamo mai permetterci di fermarci. Chi si ferma è perduto si dice! Per questo siamo sempre in cammino, comunità in cammino, una comunità che è dinamica e cammina con il Signore anche in tempi di Covid, soprattutto, nell’interiorità in quell’essenziale che non è visibile agli occhi umani, ma è visibile agli occhi di Dio, che va al di la, trascende l’umanità di ciascuno di noi.
E Don Tonino Bello parlando di Maria come donna della strada, viandante, e c’è un canto che noi amiamo, “Maria del cammino”, che dice: “Mentre trascorre la vita solo tu non sei mai, Santa Maria del cammino sempre sarà con te”. E allora non siamo soli.
Ma davvero, allora, il nostro cammino non è fatto in maniera individuale se ci apriamo a Dio, perché può essere fatto anche in maniera individuale, egoistica. E proprio lì ci si ritrova soli. Ma se scegliamo di camminare con il Signore, non rimarremo mai soli, anche quando sembra di essere soli, ma non lo siamo.
E Don Tonino Bello, nella sua vena poetica, fiorita, quando scrive di Dio e su Dio usa colori variopinti, ma molto belli, e dice così parlando di Maria: donna del cammino, della strada, dei crocicchi, non da intendere come potremo pensare noi maldestramente, ma ben diversamente: “Se tutti i personaggi del Vangelo che incontriamo, nell’ascoltare il Vangelo o proclamarlo o leggerlo, avessero avuto una specie di conta chilometri, un po’ come quello che mettiamo quando facciamo i nostri conta passi – adesso va di moda il conta passi nell’orologio, nel cellulare, che più passi si fanno più calorie si bruciano – e va bene, “mens sana in corpore sano” e fa bene alla salute, tanti passeggiano alla variante, è diventato luogo di incontro, speriamo che non diventa santuario solo di incontro e svuotiamo le chiese per andare a passeggiare; c’è un tempo per ogni cosa giusto? Ed è bello.
E Don Tonino dice questo: “Se ogni personaggio del Vangelo avesse avuto un conta passi incorporato, penso che la classifica del più affaticato tra i camminatori l’avrebbe vinta Gesù, ma perché alla stregua di Gesù va Maria; la possiamo paragonare in egual misura, perché dove è il figlio, è la mamma. E Maria va appresso al figlio, per questo è donna del cammino, ma si sa, Gesù è identificato a tal punto con la strada. I santuari e le chiese di Gesù, ai tempi le sinagoghe, i luoghi di incontri sono le piazze, le strade, i crocicchi.
Fateci caso: dove incontra Gesù la samaritana? Dove Zaccheo? Dove gli apostoli? Dove moltiplica i pani ed i pesci? “Erano circa 5.000 uomini, e c’era molta erba in quel luogo […]. Non c’era un tempio, una struttura, ma c’è un luogo all’aperto e ancor di più nelle città dove c’è movimento di gente, crocevia delle genti, Cafarnao, ma perché proprio lì? Perché era una città dove passavano molti mercanti, commercianti, e proprio lì Gesù cala il Vangelo, la sua realtà, la sua presenza.
Ma giustamente, quando predica in questi santuari, che sono i nuovi santuari, oggi dopo il Covid i nuovi santuari sono le strade, le piazze, i centri commerciali. La domenica c’è più gente nei centri commerciali che in chiesa. E direte: “Parrì, ma a Resuttano?”. Vero è, c’è il settenario dell’addolorata, stamattina eravamo 15 appena, con due messe la domenica, in percentuale tiriamoci il conto. Dov’è tanta gente? Dove incontra il Signore? Ma se Maria va appresso a Gesù, noi non dobbiamo essere chiamati ad andare appresso a Gesù? Ma io Gesù lo posso incontrare in cielo, in terra ed in ogni luogo, vero; ma i sacramenti, dove li prendi? Dove ti nutri di Cristo? Gesù, lui stesso si auto definisce: “Io sono la via”, quella via che porta al cielo! Che bello! Il beato Carlo Acutis, questo giovane santo, beato da poco, lo scorso ottobre, diceva: “L’Eucarestia è la mia autostrada per il cielo”.
Si utilizzano termini nuovi, contemporanei. Ma la nostra autostrada chi è? La nostra super strada è proprio Gesù e Maria l’ha percorsa insieme con lui. Ma siccome Gesù è “fuori concorso” dice Don Tonino Bello, e lo diciamo stasera noi in questo settenario, a capeggiare la graduatoria della peregrinazione evangelica è lei, Maria, che spunta dietro le quinte; vi ricordate durante le nozze di Cana? “Cosa c’è tra me e te o Donna?”.
Maria è lì. E’ sempre presente nel suo silenzio orante. Viaggio di andata e ritorno, da Nazareth verso i monti di Giuda, per fare cosa? Si mette in pellegrinaggio verso la cugina Elisabetta senza guardare niente e nessuno, con Gesù nel suo grembo; di 3 mesi era Maria, ed Elisabetta di 7. Va a trovare la cugina con quella specie di supplemento rapido menzionato da Luca, il quale ci assicura che raggiunge in fretta la città. Poi cosa fa Maria? Va verso Betlemme, e da lì verso Gerusalemme per la presentazione al tempio: a Betlemme mette alla luce Gesù, a Gerusalemme presenta Gesù, espatrio clandestino in Egitto. I primi ad emigrare: la santa famiglia. Ritorna in Giudea con il figlio, guardinga perché sapeva che volevano uccidere il bambino; le ricordiamo queste cose. E con il foglio di via, non l’auto certificazione che speriamo non ritorni più, rilasciato dall’angelo del Signore; e poi di nuovo a Nazareth e poi ancora verso Gerusalemme, con lo “sconto di comitiva” dice Don Tonino Bello, e il raddoppio del percorso perché smarriscono il figlio e tornano indietro.
Maria è sempre in movimento! E’ una mamma! Un percorso con un’escursione per la città alla ricerca di Gesù, che è anche uno dei sette dolori di Maria, tra la folla va ad incontrare Gesù per i villaggi di Galilea, forse con la mezza idea di farlo ritirare a casa, con il desiderio, come ogni mamma, di avere i figli a casa “Quann’è l’ura che ti ritiri intra?”.[1]
Il desiderio di Maria, tra la folla, di incontrare sempre Lui, di averlo vicino, sui sentieri del calvario, ai piedi della croce, dove la meraviglia espressa da Giovanni, discepolo prediletto che sta ai piedi della croce con la parola “Stabat mater dolorosa” che sentiremo cantare pregando proprio già martedì sera. Più che la pietrificazione del dolore per una corsa fallita, esprime in questa croce Maria, come la contempliamo nella nostra icona, l’immobilità statuaria di chi attende sul podio paradossalmente il premio della vittoria.
Ma come? La Madonna è messa lì che piange il figlio sotto la croce e si parla di premio della vittoria? Sì: Perché Maria vive lo slancio verso il Signore, crede, spera e ama il figlio, e sa che risusciterà! Ecco il premio che aspetta. Icona, allora, Maria del “Cammina cammina” così la chiama Don Tonino Bello. La troviamo seduta sola, al banchetto del primo miracolo, seduta ma non ferma, non sa rimanere quieta, come ogni mamma del resto. Non corre con il corpo, ma precorre con l’anima. E se non va lei verso l’ora di Gesù, fa venire quell’ora verso di lei, spostandone indietro le lancette, finché la gioia pasquale non riempie sulla mensa degli uomini. Da quando si mise in viaggio verso la montagna, fino al giorno del Golgota, anzi, fino al crepuscolo dell’ascensione, quando il figlio salì, anche lei Maria con gli apostoli, al piano superiore, in attesa dello Spirito Santo, i suoi passi sono sempre scanditi dall’affanno esultante di gioia.
Maria donna del cammino, donna dell’attesa. Avrà fatto anche le discese, non solo le salite, e Giovanni l’evangelista a cui è stata consegnata Maria, ne ricorda una: quando Gesù dopo le nozze di Cana, discese a Cafarnao insieme con sua madre. Ma l’insistenza con cui il Vangelo accompagna il verbo salire, i suoi viaggi a Gerusalemme, più che alludere al gonfiarsi del petto ed al dolore dei piedi, sta a dire che la peregrinazione terrena di Maria simbolizza tutta la fatica di un’esigente itinerario spirituale che ciascuno di noi deve, può percorrere.
Santa Maria, donna della strada, del cammino, come vorremmo somigliarti nelle nostre corse trapelate, ma non abbiamo traguardi; siamo pellegrini come te, ma senza santuari verso cui andare. Siamo più veloci di te, ma il deserto che ci sta attorno ingoia i nostri passi. Camminiamo sull’asfalto, lì dove c’è, ma il bitume cancella le nostre orme. Sforzati del cammina cammina, ci manca nella bisaccia di chi è viandante, la cartina stradale che dia senso alle nostre itineranze; e con tutti i raccordi anulari che abbiamo a disposizione, la nostra vita, non si raccorda con nessun svincolo costruttivo; le ruote girano a vuoto sugli anelli dell’assurdo e ci ritroviamo inesorabilmente a contemplare gli stessi panorami che non portano a nulla; donaci ti preghiamo, il gusto della vita, oggi più che mai, facci assaporare l’ebrezza delle cose, offri risposte materne alle domande di significato circa il nostro interminabile andare; e se sotto i nostri pneumatici violenti, come un tempo sotto i tuoi piedi nudi, non spuntano più i fiori, fa che rallentiamo almeno le nostre frenetiche corse, per goderne il profumo e ammirarne la bellezze.
Santa Maria, donna della strada, fa che i nostri sentieri siano come lo furono i tuoi, strumenti di comunicazione con la gente, e non nastri isolanti entro cui assicuriamo la nostra aristocrazia e la nostra solitudine.
Santa Maria, donna della strada, donaci la speranza e la consolazione per il peregrinante popolo di Dio; facci capire, come più che sulle mappe della geografia, dobbiamo cercare sulle tavole della storia, la carovaniere dei nostri pellegrinaggi ed è su questi itinerari che cresce la nostra fede; prendici per mano Maria, e facci scorgere la presenza sacramentale del tuo figlio Gesù, sotto il filo dei giorni, perché i giorni sono un filo, la vita è un filo; negli accadimenti del tempo, nel volto del giungere delle stagioni umane, nei tramonti delle onnipotenze terrene, nei crepuscoli mattinali di popoli nuovi, nelle attese di solidarietà che si colgono nell’anima; verso questi santuari, e chiudo, dirigi i nostri passi, per scorgere sulle sabbie dell’effimero le orme dell’Eterno; restituisci sapori di ricerca interiore alla nostra inquietudine, di turisti senza meta che annaspano qua e là; se ci vedi allo sbando Mamma Celeste, sul ciglio della strada, fermati ti prego, Samaritana dolcissima, per versare sulle nostre ferite l’olio della consolazione e il vino della speranza e poi rimettici in carreggiata, spingici, aiutaci, dalle nebbie di questa valle di lacrime in cui si consumano le nostre afflizioni. Facci volgere gli occhi verso i monti, da dove verrà l’aiuto e allora sulle nostre strade fiorirà l’esultanza del magnificat!”
Sotto la tua protezione cerchiamo rifugio, Santa Madre di Dio, non disprezzare le suppliche di noi che siamo nella prova e liberaci da ogni pericolo, o Vergine gloriosa e benedetta.
[1] Tradotto dal dialetto siciliano: “Quando è l’ora che torni a casa?”